Com’è nata l’idea di recuperare e ripopolare il borgo di Fiumefreddo, con quale progetto?…

La nostra speranza in un futuro migliore non può venire e non verrà dai mercati, ma dalla cultura e dalla sua bellezza”.

Parole chiare e inequivocabili quelle pronunciate da un battagliero Salvatore Settis nella sua lectio magistralis, che ha inaugurato l’ottava edizione dei Dialoghi sull’Uomo. Settis, già presidente del Consiglio Superiore dei Beni Culturali, è docente universitario e collaboratore con istituti museali internazionali e da anni, tramite interventi e pubblicazioni, porta avanti importanti battaglie per la tutela e la salvaguardia del nostro patrimonio storico, artistico e paesaggistico, non senza polemiche contro gli interventi o le negligenze di cui, a suo giudizio, si sono resi responsabili i recenti governi chiamati alla guida del Paese.Da sempre in prima linea nella difesa della cultura da tagli di finanziamenti, licenziamenti di personale specializzato ed emarginazione degli enti culturali, Settis ha esordito ricordando come la crisi attuale non sia solo economica e politica, ma anche culturale: “la mancanza di una coscienza civile presso le classi dirigenti riguardo la cultura porta a legittimare e giustificare violenze contro il paesaggio, la perdita di identità dei centri storici, l’abbandono e la rovina dei complessi monumentali e la nascita di nuovi ghetti urbani.

È una sorta di iconoclastia moderna, un fenomeno di proporzioni gigantesche che si sta allargando su scala globale e sta causando gravi danni alla memoria storica dei luoghi. In molte aree del mondo, come, per esempio, in Arabia Saudita e in alcuni Paesi del Golfo, sta avvenendo una vera e propria opera pianificata di distruzione e ricostruzione, che porta alla cancellazione del passato e alla sua sostituzione con il nuovo, con la perdita definitiva non solo di patrimoni storici, ma delle stesse tracce lasciate dall’umanità nel suo cammino plurimillenario”.

In Italia, in particolare, i mali che affliggono il paesaggio e il patrimonio culturale sono, secondo Settis, le speculazioni edilizie, il costante abbandono dei monumenti e dei luoghi storici, l’affermazione di un turismo invasivo, l’emarginazione del settore culturale e dei suoi operatore, la relegazione delle istituzioni culturali e, più in generale, l’adozione di precise scelte politiche che sacrificano la cultura sull’altare del solo profitto economico.

“È quindi importante – ha aggiunto – contrastare le devastazioni paesaggistiche e ambientali, rimettere al centro della nostra attenzione e indignazione il pericolo derivante dalla perdita della memoria del passato, il nostro ma anche quello di chi giunge nel nostro Paese. Da questo punto di vista siamo tutti minacciati allo stesso modo. È grazie alla memoria storica, che solo la cultura ci può offrire, che possiamo gettare intorno a noi i semi di un nuovo futuro, diverso da quello di infelicità e rovine paventato dalla crisi, e superare la presente fase di stagnazione. La cultura non è fine a se stessa, ma è in grado di produrre ricchezza dal punto di vista economico e umano, e inoltre porta con sè creatività, professionalità, inventiva, educazione, uguaglianza e democrazia: valori fondanti della nostra società, che purtroppo vengono con troppa frequenza messi in discussione dal potere”.

La risposta potrebbe venire da quella che Settis ha definito una “religione laica della bellezza”: una cultura che non deve essere un brand turistico o uno slogan usato per fini politici ed elettorali, ma lo strumento privilegiato per consentire la “fioritura della comunità”.

In chiusura il professore non ha rinunciato a due attacchi polemici su temi ritenuti decisivi per la costruzione di un futuro che veda la cultura posta al centro. Sul banco degli imputati finisce la scuola italiana, accusata, dopo le recenti riforme, di essere divenuta una realtà che non forma più il pensiero critico degli studenti, mette in un angolo gli studi umanistici, non premia il merito e risponde sempre più a criteri utilitaristici e aziendalistici.

Ma la polemica più dura è contro l’Europa e l’assenza di una concreta e consapevole politica culturale promossa a livello comunitario. “Nelle stanze e nei palazzi delle istituzioni europee – ha affermato – regna sovrano il mercato: non c’è spazio per uguaglianza, giustizia sociale, cultura e memoria, ma solo una cieca obbedienza alle regole dell’economia globale. Solo coltivando la bellezza dell’arte, riaffermando la dignità della cultura, preservando il paesaggio umano e recuperando la memoria storica dei luoghi sarà possibile iniziare a costruire un futuro migliore e diverso da quello che i mercati ci vorrebbero imporre, un futuro fatto di cittadini e non di semplici consumatori”.

Il “bello” della Calabria è racchiuso nei centri storici e nei residui scorci del paesaggio tradizionale I borghi erano un modo diverso di vivere i luoghi basato sulla lentezza e fatto di solidarietà, di condivisione, di una società di relazioniProteggere questi luoghi, patrimonio d’inestimabile bellezza, e valorizzare questi territori è un modello di vivibilità nuovo e un’urgenza civile che serve a proteggere il futuro delle nuove generazioni. Andrebbero ricostruiti i muretti a secco, recuperati gli olivi abbandonati, restituita la vocazione agricola. I borghi con i loro terreni non possono essere marginali sono centrali dal punto di vista della qualità della vita, dei prodotti agricoli, della tutela ambientale, del paesaggio, della vivibilità e della salute.

I borghi potrebbero essere l’antico straordinariamente moderno, l’antico che è già futuro.  Il richiamo alle nostre responsabilità di cittadini, al senso di comunità ci impone di preservare e custodire i borghi e ci inchioda al cambiamento, ricercando, ad esempio sulla biodiversità, un modello alternativo locale su come, cosa e quanto produrre in grado di rivitalizzare intere filiere. Aver cura dei borghi significa tutelare il patrimonio storico-artistico a fini, culturali, artigianali e residenziali, legando passato e futuro, saperi moderni e saperi antichi, storia e territorio, paesaggio rurale e bellezza, consumi ed ecologia, agricoltura sana e cibo agricolo, viaggio e turismo emozionale. Da queste premesse è nata l’idea Borgo di Fiume che consta di una Cooperativa di Comunità, dell’avvio di un Albergo Diffuso con una offerta enogastronomica centrata sul Convivio, una osteria con l’orto che privilegia “il buono che fa bene” e di un sito “ Borgoslow.it che racchiude le tematiche dei borghi. Ripartendo dal paesaggio, tutelando il territorio vorremmo dare voce ad un’idea di futuro che non ripudia il passato, ne ha nostalgia del passato, ma vuole mantenere un rapporto armonico tra “rispetto” della natura e riconciliazione con l’ambiente, tra uomini e luoghi, tra equilibrio naturale e territorio. E’ la coscienza del luogo che diventando possibile dà parola al territorio, rivoluziona lo sguardo dei nostri occhi e pensa a condividere.

b) Oggi il borgo è anche un albergo diffuso ma anche un importante presidio di salvaguardia del territorio e di costruzione di rinnovate relazioni sociali. Il punto della situazione

Il “modello dei borghi” dovrebbe assumere  le caratteristiche di un progetto locale di  turismo emozionale e sociale, ma non solo localistico bensì di un’area vasta, intercomunale, regionale. La Residenza d’epoca Vicogranatello è il cuore dell’Albergo Diffuso BorgodiFiume, nasce con la diffusione della concezione dell’ecoturismo, distaccandosi dai principi dell’industria alberghiera tradizionale, promuovendo un nuovo approccio alla ospitalità ispirato alla tutela di paesaggio e di territorio per un turismo di comunità, sostenibile e non solo stagionale. La Residenza d’epoca Vicogranatello sorge nella piazza di Santa Domenica, in un palazzo gentilizio del XVII sec. ed è suddivisa in un appartamento e sei camere. E’ un palazzo storico pieno di fascino e suggestivo disposto su tre livelli con terrazzo panoramico che si affaccia sul borgo e domina il mare e l’antica porta da dove partiva il sentiero medioevale conducente al mare, oggi ripristinato come passeggiata panoramica La proposta progettuale di base volta alla conservazione dell’esistente, ha mantenuto lo spirito dell’edificio storico, attraverso un rinnovo fatto di interventi leggeri e a secco.

c) Cosa proponete a chi vorreste venisse a scoprirvi?

Di visitare il Borgo di Fiumefreddo “luogo del tempo” e dello “spirito ” e provare a recuperare il rapporto con il paesaggio, il territorio, il Monte Cocuzzo, la terra e il cibo buono e sano.
Un borgo, una residenza che ci riportano ai ritmi di un passato dimenticato…e ai saperi e sapori del buono e del sano. Non è un hotel, non è un relais, non è una pensione  è una Residenza d’epoca nel BorgodifiumeLasciatevi trasportare dal silenzio e dai colori del mare, del cielo, delle dolci colline e dal Monte Cocuzzo, in un luogo dove ciò che conta è la lentezza, la leggerezza, il profumo della terra e dei mare, o la magia di un tramonto. Una oasi di pace e lentezza, dove sarete accolti dalla comunità con il calore di una residenza privata per un soggiorno in armonia con la natura, l’arte, il cibo e il vino naturale.

Il ConVivio, la nostra Osteria, vuole proporsi come luogo di chi ama mangiare (e bere bene) e di chi vuole capire ciò che mangia (e ciò che beve). L’etimologia è evidente: ‘convivio’ da cum vivere, vivere insieme.  modo più semplice e immediato la parola propone un’identità fra l’atto del mangiare e quello del vivere. L’uomo è “ciò che mangia” ma l’uomo è come mangia, da solo o in compagnia, con foga o parsimonia, di fretta o con lentezza, nel rispetto o nello spregio di ambiente e viventi, nella consapevolezza o cecità di ciò che è buono. L’ amore per il gusto, la qualità, la genuinità, la salute ci ha spinti alla ricerca di quei piccoli artigiani del cibo che vorremmo farvi conoscere assaporando i loro prodotti. Da noi troverete pertanto solo prodotti tipici del territorio e dell’orto con alle spalle filiere agroalimentari sicure e rispettose dell’ambiente. Abbiamo inserito nel menù piatti verdi, perché le verdure devono essere liberate dal ghetto di semplice contorno e dalla perdita di cultura alimentare, che ci vede all’ultimo posto per consumo di ortaggi. Nei prodotti da forno non troverete la dannosa farina 00 ma solo farine integrali o semiintegrali mscinate a pietra. Le farine raffinate determinano notevoli differenze nella quantità di fibre, vitamine… ) Da noi non troverete pane bianco, patatine, zuccheri e bevande zuccherate responsabili di sbalzi glicemici e principale causa di sovrappeso e obesità infantile.

L’intento, insieme a quanti hanno abbracciato il progetto,  è quello di promuovere un percorso di tutela e miglioramento del borgo e del suo territorio e concorrere a migliorare la qualità di vita della sua comunità.

d) A monte dell’iniziativa in Calabria sta una cooperativa di comunità e un’associazione di donne che hanno scelto di cambiare stile di vita per prevenire o uscire dal tunnel tumore. Qual è il legame tra le due iniziative?

La crescita e lo sviluppo economico devono essere messi in discussione in quanto tali: una crescita infinita è un controsenso in un pianeta finito. E’ necessario, dunque, un nuovo paradigma capace di modificare gli assetti odierni e di redistribuire equamente la ricchezza, evitando il più possibile i “grandi sacrifici” quasi completamente a carico dei giovani, delle fasce più deboli della popolazione e dell’ambiente.

Il progetto di Comunità riconosce la centralità della persona, del cittadino. Un cambio di paradigma: al centro del nuovo modello non deve esserci più la crescita economica, ma la società, l’uomo e il rispetto della natura della terra e del paesaggio. Il che significa impostare modelli organizzativi e gestionali con un progetto politico, economico e sociale favorevole alla riduzione controllata, selettiva e volontaria della produzione economica e dei consumi, con l’obiettivo di stabilire relazioni di equilibrio ecologico fra l’uomo e la natura, nonché di equità fra gli esseri umani stessi. Intercettare meglio i bisogni dei cittadini appartenenti ad una data realtà locale, e di conseguenza, concepire una risposta efficiente secondo modelli innovativi che possano soddisfare i bisogni.

Tutelare il territorio, il paesaggio significa rispettare la terra e quanto la terra ci dona, il cibo agricolo. Le evidenze scientifiche dimostrano che alcuni fattori come l’alimentazione mediterranea, buone pratiche in agricoltura, la scelta di cibi naturali, le modalità di preparazione e di cottura dei cibi, alcuni stili di vita e in particolare la non sedentarietà portano ad un miglioramento della qualità della vita  in termini di riduzione delle malattie croniche metaboliche e in termini di prevenzione e cura per quanto riguarda i tumori.

Quali le prossime iniziative?

  • un sito che garantisca l’interazione con l’utenza (e-commerce, booking on line, forum tra gli ospiti, newsletter…) e pacchetti turistici dei borghi.
  • punto di informazione con distribuzione di materiale informativo sui borghi di Calabria con pacchetti turistici che comprendano escursioni e itinerari in luoghi di pregio artistico e naturalistico,
  • promozione e collaborazione con gli Alberghi Diffusi e le Comunità Ospitali con agriturismi con bed and breakfast e con chi pratica una gestione professionale non standardizzata, non simile a quella che caratterizza gran parte degli alberghi, ma coerente con la proposta di autenticità dell’esperienza, con le radici nel territorio e con uno stile riconoscibile, una identità leggibile, in tutte le componenti della struttura ricettiva, che non si configura come una semplice sommatoria servizi o di case ristrutturate e messe in rete,

Le visite nelle aziende che praticano una enogastronomia del territorio che privilegi la produzione locale e la cucina mediterranea e per quanto riguarda il vino che sia libero da chimici

L’Associazione ledonnescelgono è da anni impegnata nella sensibilizzazione sociale nel settore della prevenzione oncologica per la correzione di stili di vita  errati e la promozione della dieta  mediterranea; l’Associazione promuove programmi di educazione alimentare quale intervento di prevenzione primaria per contrastare l’incremento dell’incidenza dei tumori.

Fiumefreddo, deriverebbe dal latino Flumen frigidum prendendo il nome dalle vicine acque che scendono dal Monte Cocuzzo. Le prime tracce documentali risalgono intorno all’anno mille. Tutti quelli che hanno voglia di “vivere il borgo” e, che, per alcuni attimi vogliono fermare il tempo, saranno affascinati dalle passeggiate per le vie strette, lastricate o acciottolate del centro storico, dal contatto con l’imponente Castello, dalla tranquillità e bellezza delle Chiese con le opere di Giuseppe Pascaletti, e dalla visita all’incantevole Chiesa di San Rocco con gli affreschi di Salvatore Fiume, la sua arte è presente anche nel castello e nelle piazze.
Il Borgo di Fiumefreddo” è un luogo che custodisce la memoria di un’epoca segnata da scontri e incontri di identità culturali. Luogo nascosto di un passato che ancora ci appartiene. Il borgo offre motivi di interesse storico-artistico. Il “bello” della Calabria resta sostanzialmente racchiuso nei centri storici e nei residui scorci del paesaggio tradizionale. L’abbandono e il distacco dai borghi ha significato dispersione di patrimoni storico-artistici, abbandono dell’agricoltura rurale, della pastorizia, e dell’artigianato con conseguenze devastanti sul consumo del suolo, sulla vivibilità, sul cibo e sulla bellezza del paesaggio. I borghi erano un modo diverso di vivere i luoghi basato sulla lentezza e fatto di solidarietà, di condivisione, di una società di relazioni. I borghi dovrebbero riprendersi il loro passato senza trasformarlo o stravolgerlo e con orgoglio donargli una nuova dignità. Proteggere questi luoghi, patrimonio d’inestimabile bellezza e valorizzare questi territori è un’urgenza civile e serve a proiettarsi e proteggere il futuro.

I borghi, piegati dal tempo, andrebbero custoditi, tutelati e strappati all’incuria e all’abbandono, perché il borgo ridisegna, narra, il borgo è ricerca e identità. Il borgo custodisce una vivibilità che non c’è più.

L’Associazione vuole far scoprire il fascino di un antico borgo, in alcuni punti abbondonato, ma per questo non meno bello. Percorrendo le antiche vie e conoscendo la sua storia, le sue origini, le sue tradizioni si rimanda ad un modo diverso di abitare i luoghi.La dolcezza del paesaggio tra colline, mare e antiche mura non riguarda solo la spiritualità delle belle chiese ma offre scorci e spunti d’interesse naturale e storico con itinerari meno battuti ma non per questo meno affascinanti. Le case in pietra e i vicoli offrono sempre sorprese e la possibilità di riscoprire scenari emozionanti, da vivere con lentezza senza fretta sostando in terrazze con splendide vedute panoramiche che sovrastano il mare.

Il Professore Salvatore Settis ha definito il paesaggio “Il malato d’Italia”. Una devastazione del territorio avvenuta in piena legalità, una “bomba ad orologeria”. Una definizione che nasce dal fatto che nel nostro paese abbiamo una crescita demografica pari a zero a fronte del consumo di suolo più alto d’Europa. Solo a Roma vi sono circa 150 mila case invendute.

Il disegno di legge che Legambiente ha promosso vuole mettere la bellezza al centro della progettazione del territorio.

Il paesaggio però non può esistere senza ambiente, senza terreni agricoli, come non esiste un ambiente senza paesaggio. Le leggi spesso in contrasto tra di loro hanno impedito la tutela del paesaggio.L’architettura moderna non è mai pensata in funzione del territorio né di chi abita o abiterà il luogo, partendo all’assunto che il passato è da dimenticare per progredire. L’ignoranza del passato e dell’edificare tradizionale ha scardinato campagne, terreni, coste alterando l’equilibrio tra uomo e natura. L’architettura moderna è distorta, dimentica i bisogni collettivi. Gli edifici sono spesso alveari inospitali, senza servizi e luoghi d’incontro che favoriscono solo la dispersione.

FIUMEFREDD0:”LUOGO”del”TEMP0

La metropoli ha sconfitto i paesini rendendoli desolati o abbandonati. Ci sarebbe molto da offrire a chi perennemente vive in fila dentro tangenziali e raccordi anulari delle grandi città. I luoghi di una volta invitavano alla sacralità, al silenzio, erano luoghi dove raccogliersi e ritrovarsi ,erano piazze, torri, campanili. Una volta i muri erano spessi, fatti di pietra, mattoni o marmi con delle imperfezioni dell’intonaco su cui negli anni si depositava la polvere creando delle ombre irregolari che segnavano lo scorrere del tempo. Oggi i muri sono dritti, sottili, lisci, piatti, plastificati, incontaminati, su cui si deposita lo smog. Tutti però concordano che il borgo, magari di mare, come Fiumefreddo sia bello e suggestivo altrettanto quanto concordano che la cementificazione delle coste e le periferie delle città siano tristi e brutte.

Nell’abitare i piccoli centri, nell’abitare i borghi non vi è estraneità tra l’abitante e il luogo, tra l’abitante e il territorio come avviene nelle periferie delle città.Il Borgo dovrebbe riprendersi il suo passato senza trasformarlo o stravolgerlo e con orgoglio donargli una nuova dignità.

La valorizzazione dei territori e di un patrimonio d’inestimabile bellezza architettonica è un’urgenza civile e sociale e serve a invogliare quei flussi turistici sensibili a visitare luoghi pieni di fascino con vantaggi sullo stesso sviluppo turistico. Bisogna ripartire dalla conoscenza e attraverso percorsi guidati riscoprire arte, architettura, cultura, tutela del paesaggio, enogastronomia e piatti della tradizione locale, non tradendo una cucina che vuole e deve restare popolare, ed è buona per l’ambiente e buona per la salute.

Il rispetto del paesaggio significa proteggere i luoghi, significa terreni puliti. Terreni puliti si traduce in cibo e vini più buoni e più sani.Il cibo è alla base delle patologie a più alto tasso di mortalità(diabete, malattie dell’apparato cardiocircolatorio, tumori). Il nesso casuale tra alimentazione scorretta e patologie è ampiamente dimostrato, ma non bisogna solo cambiare abitudini alimentari facendo rivivere la dieta mediterranea, diventa importante conoscere la qualità degli alimenti di cui ci nutriamo. Coglieremo l’occasione per incontrare agricoltori, piccoli produttori e magari pescatori tentando di ricostruire un rapporto diretto tra chi mangia e chi produce.

Dovremmo prenderci cura dei luoghi e in particolare dei borghi. Borghi autentici a cui restituire valore ed imparare a conoscerli e riscoprirli. Borghi silenziosi dove ritrovarsi, spesso avvolti da ulivi, con affascinanti spazi all’aperto da cui lasciarsi sorprendere

Si tratta spesso di musei naturali all’aperto circondati da piante d’ulivo secolari, memorabili e pieni di riferimento di ogni tipo, dalla storia alla natura dalla bellezza al gusto.

L’ulivo rimanda all’avventura dell’olio ma di questo rinviamo in Autunno con una manifestazione che vuole avere come protagonista l’olio da cui inizia il viaggio del cibo più italiano che c’è, un simbolo di origini, territorio, gusto e qualità.

Noi esistiamo perché ricordiamo, testimoniare il passato è fondamentale nel far riemergere la memoria dimenticata e per vivere il Paesaggio come un Bene Comune, da proteggere e valorizzare.

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L’uscita dalla statale con una deviazione improvvisa cambia il paesaggio e una strada, regina delle curve, ci conduce al Borgo di Fiumefreddo A 200 m s.l.m., tra dolci colline a 1,5 km dal mare, si erge il Borgo di Fiumefreddo. La posizione dominante, rispetto al contesto naturale che lo circonda, consente un’ampia vista panoramica che abbraccia il monte Cucuzzo, il mare e in lontananza Stromboli. Il Borgo medievale dista soli 10 km da Paola,la città di San Francesco e a 40 km dall’aeroporto di Lamezia Terme. Fiumefreddo Bruzio, deriverebbe dal latino Flumen Frigidum, prendendo il nome dalle vicine acque che scendono dal monte Cocuzzo e sgorgano dalle rocce a poca distanza dal mare; le prime tracce documentali risalgono al medioevo. Fiumefreddo Bruzio è caratterizzato da un dedalo di viuzze che si aprono su piazzette e scorci e che racchiudono punti d’interesse quali il castello normanno, all’interno del quale si possono ammirare i dipinti dell’artista Salvatore Fiume, l’abbazia di Forte Laudato , i numerosi palazzi nobiliari, la chiesa Matrice di San Michele e la chiesa dell’Addolorata. Fiumefreddo offre motivi di interesse storico-architettonico (grazie a vincoli e tutele di varia natura); il patrimonio edilizio presenta evidenti fattori di qualità urbanistica (accessi e cinta muraria, diversità dei percorsi, vicoli, piazze, punti panoramici, legame ed autenticità degli spazi naturali esterni) ed architettonica (armonia e omogeneità dei volumi costruiti, delle facciate, dei tetti, dei colori, di porte, finestre; presenza di elementi decorativi come frontoni, insegne, stucchi); ed infine notevole patrimonio artistico: Chiese, Castello, Abbazia, affreschi e bronzi di Salvatore Fiume, tele del pittore Giuseppe Pascaletti. Il borgo di Fiumefreddo rappresenta uno dei tanti piccoli gioielli nascosti perché poco conosciuti di questa bellissima terra
SALVATORE FIUME e la Chiesa di San Rocco
“Ho dipinto i miracoli di San Rocco dentro la cupola di una chiesetta dedicata a quel Santo nel Borgo. Nessuno mi ha chiesto, né ordinato quel lavoro. Io stesso ho pregato le autorità di lasciarmelo eseguire perché fin dal 1959 desideravo decorare una cupola come Goya aveva fatto a Madrid nella cappella di San Antonio de la Florida”.

  Il Monte Cocuzzo

Con un solo sguardo si abbraccia il paesaggio e si coprono enormi distanze, dall’Etna, il vulcano più grande d’Europa che si fa riconoscere con la sua sagoma, dalle Isole Eolie, dal Golfo di Policastro e più vicino alle Serre, alla Sila e al Pollino. Montagne, terre e mare che ti aiutano a comprendere il vero significato del nome del nostro mare, un mare tra le terre, che abbraccia tutti e non dimentica nessuno; non esistono stranieri, pirati, briganti o saraceni, siamo tutti figli dello stesso mare e della stessa terra.     Il Mediterraneo possiede un patrimonio storico, culturale e economico, scaturito dalla sostanziale e pressoché continua contaminazione di tutti i paesi, che si affacciano sulle sue coste.
Mediterraneità non è solo condizione di centralità rispetto ad un gruppo di terre ma anche opportunità di congiungimento fra molteplici diversità. Sulle sponde del Mar Mediterraneo sono fiorite le civiltà che stanno alla base della cultura occidentale e proprio per questa sua particolare configurazione di “mare fra le terre”, il Mediterraneo, al contrario d’altre distese acquatiche, ha sempre rappresentato un elemento geografico di contatto per i popoli che vi si affacciano. Sono passati secoli prima che Mediterraneo diventi sì il mare, ma anche una intera civiltà nata sulle sue coste, e nel retroterra dei Paesi che ad esso fanno riferimento in vario senso. Sappiamo che nel corso del tempo esso è stato soprattutto un luogo fisico e virtuale di congiunzione, di contaminazione, ma anche di incroci, militari e bellici. Il Mediterraneo non è un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma molte civiltà, disseminate le une sulle altre, un crocevia antichissimo. Da millenni tutto vi confluisce, complicandone e arricchendone la storia: idee, religioni, modi di vivere, natura.

Sulla vetta del Monte Cocuzzo ritroveremo il piacere dei sensi e dello spirito, diventando un’unica cosa con il panorama che ci circonda e il luogo. Quel silenzio e quella pace provata in cima rimarrà dentro, ci darà energia vitale ed è uno dei modi migliori per conoscersi. E quando tra il traffico delle macchine saremo tentati all’arrabbiatura con un altro automobilista stressato e nevrotico come noi, basterà pensare alla cima e al silenzio conquistato per reagire nel migliore modo possibile. La calma, la leggerezza e la lentezza della vetta, per chi tutti i giorni è prigioniero di tangenziali, raccordi anulari e lamiere sarà di notevole aiuto per ritrovarsi .

10 COSE DA FARE E NON PERDERE AL BORGO
1. Perdersi tra i vicoli del Borgo
2. Visita guidata delle Chiese e dell’Abbazia
3. Opere di Salvatore Fiume
4. Visitare il Castello
5. Dipinti di Solimena e di Pascaletti
6. Percorrere l‘antico sentiero che conduce al mare
7. La vista mozzafiato dalle terrazze del Borgo
8. Godersi il tramonto e magari intravedere Stromboli
9. Mangiare al ConVivio, non solo la frittata di patate                                                                                                      10. La visione notturna del castello e dell’antica scalinata

L’Abbazia di Fonte Laurato, il Vallone della Scalidda, Monte Barbaro e le grandi pietre. Un sogno di luce che dirada le ombre

24 marzo 2017

Francesco Bevilacqua

Ogni civiltà ha bisogno di risolvere l’istinto di morte che ha in grembo. Ce lo insegna Freud. Ce lo dice la Storia. Lo spiega Ernesto De Martino in “Furore, simbolo, valore”, libro che mi accompagna, nello zaino, durante il cammino di oggi. All’attacco, dalla Badia Florense (l’ordine creato da Gioacchino da Fiore) di Fonte Laurato, territorio di Fiumefreddo Bruzio.

La valle del Torrente Cent’acque, che si apre proprio sotto l’abbazia e risale verso questo tratto meridionale dei Monti della Catena Costiera, è immersa nell’ombra. Cerco un sentiero che non ho mai percorso. La “Compagnia degli Erranti” (nome semi serio che ho dato al mio gruppo) oggi sarà messa seriamente alla prova. Potremmo essere costretti a rinunciare. Potrebbe prevalere “l’abdicazione della persona come centro di decisione e di scelta secondo valori”: il succo velenoso dell’istinto di morte secondo De Martino.
Ho chiamato a raccolta le mie informazioni. Ho guardato le carte. E’ beneagurante il sorriso sincero di una vecchietta minuta ed arzilla a Badia, il piccolo borgo rurale che contorna i resti dell’abbazia. Traverso sotto la Cresta del Monte Barbaro. Poi su, verso le rupi che si ergono, proterve. Declivi e pianori un tempo coltivati. L’intuito mi dice che l’imbocco del sentiero è qui. Non più giù, nella valle, inizialmente martoriata da una enorme frana e da una orribile cava.
Inizio ad essere eccitato. Esce fuori il selvatico che è in me. Ora abbiamo davanti la stretta e buia gola della “Scalidda”, onomatopea che coincide col nome del sentiero. Tanto antico da non essere neppure segnato sulle carte. Il passaggio sembra chiuso, impossibile. E invece ecco la traccia, labilissima, della via. Corre sull’orlo della frana. Il fondo del canyon verticale. Spettacolare.

I punti di sosta attrezzati da Piero Greco durante la ridiscesa della forra in assetto da canyoning. Guado. Sul lato opposto, quasi invisibile, s’innnalza il sentiero, fra i ciuffi di ampelodesma.
Sul crinale. Inondati dal sole che sale ad oriente. I resti di una piccola casa in pietra, terrazzamenti, coltivi, un abbeveratoio cui giunge l’acqua da un tubo. Sopra di noi una grande rupe striata di licheni sgargianti. Sul fianco della pendice che cala verso il Cent’acque, una bizzarra rupe che forse dà il nome alla Montagna dello Sperone.
Siamo precipitati, d’improvviso, tra i segni di una perduta civiltà della pietra. Quella che per millenni ha vinto l’istinto di morte in questi luoghi. Quella che oggi ha virato nel saccheggio della cava sottostante. Piccolo.esempio di quella potenza distruttiva che solo l’Homo sapiens ha raggiunto nell’intera storia del mondo. Ma siamo inebriati di visioni: da un lato le montagne, dall’altro Fiumefreddo e la costa. Il sentiero ci porta di nuovo all’interno della gola dello Scalidde, a mezza costa. Finalmente la Grotta dell’Apa, che domina un cerchio magico ben nascosto. Qui stavano i primitivi. Qui era il loro rifugio segreto. E’ un luogo di potere. Ne avverto l’energia. Attraversiamo il tempo. Vediamo il mondo con gli occhi dei preistorici.
Al di sopra, grandi prati con castagni, noci, ciliegi ed una casa diruta. Poi una stradina rassicurante corre sul crinale, da dove si osserva tutta la valle del Centacque e, poco più in là il maestoso triedro del Monte Cocuzzo, massima elevazione della Catena Costiera.

Ci colleghiamo alla strada a fondo naturale che sale da Piano di Barbara, lo strano pianoro che taglia, come un’immensa seduta affacciata sul Tirreno, la vertiginosa linea verticale del Monte Barbaro.
Ora bastano i miei ricordi a farmi orientare, Saliamo verso l’interno fino ad un grande pianoro slabbrato, circondato da altre montagne immerse in una nera nuvolaglia, che ci risparmierà per tutto il giorno. Il piano della Mano del Gigante. Una rupe pazzesca che ha almeno altre tre sorelle sparse sui margini: Pietra Grotticelle, Pietra Marilla, Pietra Cannualu. Me ne pronunciò i nomi un pastore, tanti anni fa, come se si trattasse di persone, di luoghi con l’anima. Lassù, sul limitare delle nebbie, si scorge anche il favoloso aggetto di roccia di Pietra Longa.
Vaghiamo, liberi come selvatici in questo paradiso di prati e rupi. Qui una sorta di grande basamento di tempio. Lì un branco di pecore pietrificato da un incantesimo. Più in là i muri sberciati di una favolosa città rupestre, E poi ruderi di rifugi di pastori identici a quelli del Neolitico. Vacche e cavalli al pascolo. Fontane, pantani, canali. Freddo gelido per il vento di levante. Attimi di ritorno a un lontano passato.

Si rientra per la via normale. Al valico tra Monte Barbaro e Monte Guono, si squaderna uno dei più bei panorami del mondo: il Piano di Barbara sotto di noi, la costa tirrenica e le montagne dell’interno verso nord, il borgo di Falconara Albanese, il mare aperto dinanzi. Come rapaci, sorvoliamo a lungo queste visioni. Sempre più immersi nella bellezza. Nella luce meridiana. Rileggo De Martino: “A una falsa libertà fondata sulla miseria si è creduto troppo spesso contrapporre una democrazia fondata esclusivamente sul benessere, mentre il problema centrale resta la partecipazione a un certo ordine di valori morali, un piano di controllo e di risoluzione culturale della vita istintiva. Senza questa partecipazione e al di fuori di questo piano, c’è sempre il rischio” del furore e dell’istinto di morte. Altrove De Martino avverte, profeticamente, che, verificatasi la crisi delle credenze tradizionali, ai singoli cittadini delle democrazie laiche non è ancora consentito di essere protagonisti attivi, reali dell’esperienza morale e del destino della polis. Come a dire che ancora oggi, quando crediamo, col voto o con qualunque altro strumento concessoci dal potere, di aver impresso una svolta, in realtà, abbiamo solo sottoscritto la nostra eterna, ineludibile impotenza. Ma per oggi nessuno potrà rubarci la nostra briciola preziosa di felicità e di vita vera.

Il BORGO, i borghi…

“La bellezza non salverà nulla e nessuno se noi non salveremo la bellezza”

(Salvatore Settis)

Perchè il ritorno ai Borghi diventi una possibile rinascita…

Il “bello” della Calabria resta sostanzialmente racchiuso nei centri storici e nei residui scorci del paesaggio tradizionale. Luoghi poco noti che emanano vitalità e una straordinaria bellezza. L’abbandono, lo spopolamento e il distacco dai borghi ha significato dispersione di patrimoni storico-artistici, la perdita dell’agricoltura rurale, della pastorizia e dell’artigianato con conseguenze devastanti sul consumo del suolo, sulla vivibilità, sul cibo e sulla bellezza del paesaggioI piccoli centri erano un modo diverso di vivere i luoghi basato sulla lentezza e fatto di solidarietà, di condivisione, di una società di relazioni. I grandi centri non tengono conto dei bisogni collettivi centralizzano e affidano la nostra vita al mercato globale, con conseguenze sociali ed economiche irricevibili per le comunità.  A livello temporale la centralizzazione dell’abitare nega gli spazi di libertà individuali, non soddisfa i bisogni collettivi, determina disuguaglianza e medicalizza la nostra vita . La voracità costruttiva, la fame di crescita e l’amnesia della bellezza architettonica dei borghi ha violentato le coste facendo perdere l’identità dei luoghi. A questo si è aggiunta la fuga di migliaia di persone da abitazioni considerate povere, poco salubri, umide e per niente moderne. La falsa modernità, un insensato modello di sviluppo, le impresine delle costruzioni nel ciclo delle seconde case e il turismo balneare stagionalizzato hanno determinato lo spopolamento di molti borghi con l’abbandono del territorio, dell’agricoltura, della pastorizia e il conseguente dissesto idrogeologico.

I borghi sono un laboratorio urbano e sociale avanzato da osservare, tutelare e valorizzare. Cominciano a materializzarsi interventi di restauro capaci di ripensare le materie tradizionali del luogo, la calce, la pietra, il legno. Sullo sfondo ci sono persone in “movimento” che mancano al borgo da molti anni e sono sulla via del ritorno e ci sono giovani che guardando da fuori e da dentro intravedono il futuro. Da queste terre confinate ai margini potrà ripartire l’economia locale, la vita e la vivibilità.  La battaglia per il ripopolamento dei borghi ha valenza culturale perché rappresenta una sfida al modello della città metropolitana dominante, al falso modernismo e all’economia globale. Riabitare i luoghi significa far rinascere i borghi.

Proteggere questi luoghi, patrimonio d’inestimabile bellezza e tutelare questi territori è un’urgenza civile che serve a proteggere il futuro e dare vivibilità alle persone. Andrebbero ricostruiti i muretti a secco, recuperati gli olivi e i vigneti abbandonati, restituita la vocazione agricola. I borghi, con i loro beni culturali e il loro patrimonio storico-architettonico, non possono essere marginali sono centrali per superare immobilismo e rassegnazione e per restituire i terreni all’agricoltura e ai corsi d’acqua. Terreni che rappresentano vocazione e innovazione dal punto di vista della qualità del cibo, della tutela ambientale e della salute. Il territorio e le comunità delle aree interne possono riannodare quel filo che è stato reciso tra luoghi e non luoghi, tra cittadini e sudditi, tra globale e locale, tra logica del mercato e dignità umana, tra centro e periferia, tra identità e futuro, tra paesaggio e tutela del paesaggio, tra terreni e agricoltura sana, tra beni culturali e tutela dei beni culturali. Ma bisogna non < turistizzare>, questo è il rischio, il rischio che questi luoghi diventino un museo per turisti. Le strutture ricettive che promuovono il turismo, il turismo slow, devono essere in sintonia con il territorio e con chi ci vive; dove le case, il cibo e il vino possono diventare punto di forza ma anche di resistenza, dove si possa fare trekking senza depredare la comunità, dove ci possa essere un incontro sapiente tra ospiti e ospitati.

Borgoslow vuole essere un laboratorio di buone pratiche e intende realizzare un contenitore culturale che possa promuovere l’immagine, la storia, la bellezza e le tradizioni dei borghi calabresi diffondendo il bene comune della conoscenza per stimolare una <coscienza del luogo> e un’identità non retorica, senza dimenticare ciò che questi luoghi sono stati e hanno rappresentato. Il richiamo alle nostre responsabilità ci impone di preservare e custodire i borghi e ci inchioda al cambiamento, ricercando un modello di economia locale, circolare e di turismo sociale “lento” in grado di rivitalizzare intere filiere. Aver cura dei borghi significa tutelare e valorizzare il patrimonio storico-artistico a fini, culturali, artigianali e residenziali, legando passato e futuro, saperi moderni e saperi antichi, storia e territorio, paesaggio rurale e bellezza, agricoltura sana e cibo agricolo. Il cibo e il vino richiedono la tutela della salute e della terra, il rispetto del lavoro di contadini e “artigiani”, la sostenibilità ambientale e sociale, l’accesso alle risorse comuni naturali (acqua e terra) e la nascita di un vero mercato parallelo, equo e solidale.

Il “modello dei borghi” dovrebbe assumere le caratteristiche di un progetto di vivibilità, di economia locale e solidale che si autosostiene e da cui far ripartire il cambiamento. E’ il modello dei piccoli centri ma anche delle aree interne, di un’area vasta ma periferica, intercomunale, regionale, multisettoriale, definiamola < il Mediterraneo del grano, dell’olio e del vino>.

Aprendo la questione di chi debba “prendersi cura” dei borghi e rendendo meno perentoria la separazione tra cittadini e amministratori.

Si parte dalla conoscenza per diventare tutti più consapevoli recuperando coscienza del luogo, valori identitari e culturali, legami con la bellezza del paesaggio, con la terra e il cibo agricolo che possano modificare gli stili di vita propostici dal mercato globale.

Il “fare società locale”

 L’attuale crisi economica e sociale, disoccupazione giovanile al 44%, quattro milioni e seicentomila persone in povertà assoluta, 11 milioni di persone costrette a rinunciare alle cure sanitarie, ci impone l’obbligo e il dovere di ripensare e cambiare modelli economici basati sul paradigma che ha fatto del mercato, del profitto, della crisi ecologica e dell’individualismo la sua caratteristica principale.

La finanza, i mercati e la condizione di crescita illimitata ci hanno fatti precipitare nella crisi economica mondiale imponendo nuove visioni strategiche, a partire proprio dal luogo, sia esso centrale o periferico, in cui viviamo e da cui siamo sempre più sradicati. La nostra esistenza si omologa e si delocalizza, perdiamo la sovranità su bisogni, diritti e sulle sue forme simboliche e materiali, cibo e salute ad esempio, mentre quell’opera di saperi comunitari e corali che è il territorio, costruito nel dialogo vivo e rispettoso tra uomo e natura, subisce una spoliazione sistematica di paesaggio, di terra e di suolo, riducendosi spesso a collettore di veleni. Il cemento ha scardinato campagne, terreni, coste. L’architettura moderna è distorta non è mai pensata in funzione del territorio, dei bisogni collettivi di chi abita o abiterà il luogo. Gli edifici sono spesso alveari inospitali, senza servizi e luoghi di incontro e favoriscono solo la dispersione, i disagi e l’assenza di socialità. Le leggi spesso in contrasto tra loro hanno impedito la tutela del paesaggio. La città ed i particolare la città metropolitana hanno spopolato e sconfitto i borghi ed i piccoli centri rendendoli senza servizi, desolati, degradati  ed abbandonati

È il luogo a educare la comunità che lo abita; è il patrimonio di saperi, culture, esperienze, tradizioni a fornire alle persone che vivono in un certo luogo la direzione da percorrere per la crescita civile, per il proprio arricchimento consapevole e continuo nel tempo. Giacomo Becattini, uno degli economisti più autorevoli, propone un rovesciamento del rapporto fra produzione e luoghi e ci aiuta a riflettere, ritornando al luogo inteso come matrice e tessuto connettivo di vita e di produzione. L’obiettivo è superare il concetto di produttività, di sviluppo attraverso il concetto di coralità produttiva dei luoghi, che affonda le radici non tanto nella storia economica dei luoghi, quanto nella storia della cultura produttiva corale del luogo; coralità cui si accompagna la visione di un mondo di scambi solidali fra la comunità del luogo. L’unica strada oggi percorribile per Becattini, «è la costruzione di una, cento, mille, un milione di coscienze di luogo. Qui l’individuo non è perduto nell’ambiente di lavoro, né è succube dell’atmosfera aziendale, ma è parte attiva di una comunità di persone insediate in un dato luogo. Qui, nella dialettica della vita quotidiana, si formano la sua personalità e le regole che governano la coesistenza. Nel corso del tempo si è sviluppata l’idea che il discorso economico ha una natura intima diversa da quella che lo vuole strumento della felicità umana». L’economia deve recuperare le sue radici e tornare a essere «quello che era in origine, vale a dire lo studio dell’organizzazione sociale più favorevole alla felicità dei popoli».

Becattini espone il suo pensiero da economista nei dialoghi con l’urbanista Alberto Magnaghi in cui la centralità del territorio è trattata come un globale costituito da una moltitudine di mondi locali cooperanti.  Secondo  Alberto Magnaghi, uno dei massimi teorici del localismo consapevole, è ormai improrogabile il  riprogettare il territorio su basi di autosostenibilità e decrescita. I guasti si sono aggravati, ma si è anche acuita la coscienza della devastazione del territorio. Diventa  essenziale  il sorgere di una “coscienza di luogo” (di quartiere, di piccoli centri, di borghi,) che voglia tutelare i beni patrimoniali comuni, ossia culture, paesaggi urbani e rurali, produzioni locali e saperi.

Il progetto locale è l’approccio “territorialista” allo sviluppo locale autosostenibile, attraverso azioni finalizzate al “fare società locale”.

La società locale, dovrebbe provare a  ritessere relazioni virtuose con il proprio ambiente di vita, reinterpretandone i valori territoriali attraverso la crescita di coscienza di luogo e di forme di autosostenibilità, elevando la qualità della vita e il benessere nel contesto di un sistema aperto di relazioni e di scambi.
Questa crescita della società locale è un progetto, un’idea cui dare forza sociale. Essa vive e si nutre nelle identità resistenti all’omologazione globale; negli stili di vita legati ai luoghi; nella tutela dell’ambiente, del territorio, del paesaggio e della salute come beni comuni; nelle piccole produzioni in agricoltura e nell’artigianato; nel turismo responsabile e ospitale; nella ricostruzione di legami; nelle pratiche di democrazia comunitaria.

«La coscienza di luogo è un passaggio intermedio per riacquistare la responsabilità sociale e può riaprire la strada a una visione della società che vada oltre il mercato. Ad esempio verso un’economia cooperativa. La quale si fonda su un concetto limpido ed etico: la produzione è un fatto sociale e quindi una manifestazione di cooperazione fra soggetti».

È all’interno di questo cambiamento che va letta l’esperienza delle cosiddette cooperative di comunità definendo con questo nome quelle imprese cooperative associate al territorio che attraverso le buone pratiche vogliono fornire beni di comunità. Le cooperative di comunità favoriscono il protagonismo e la partecipazione dei cittadini nella produzione e gestione di beni e servizi avendo come obiettivo il miglioramento della capacità di vita di una comunità nella quale sono radicate.

La coscienza di luogo riconosce il valore del patrimonio territoriale come “soggetto corale” e tutela il paesaggio proteggendo luoghi, territori e terreni agricoli. Il patrimonio territoriale è costituito da un sistema complesso di valori, culturali, sociali, produttivi, ambientali, urbanistici, artistici.La coscienza di luogo è agricoltura identitaria e sana, è cibo e vino più buoni e più sani. Il cibo è alla base della medicalizzazione della vita, dell’obesità infantile e delle malattie a più alto tasso di mortalità.

Con la Cooperativa di Comunità Borgodifiume nostro intento è lavorare sulla coesione e sulla cooperazione per fare comunità e società locale, un modello che rafforzi i rapporti fra i soggetti appartenenti alla stessa comunità e, di conseguenza promuovere nuove occasioni di lavoro, tutelare le identità culturali e le risorse territoriali, produrre beni e servizi che possano incidere positivamente sulla qualità della vita sociale ed economica della comunità.

La cooperazione di comunità è soprattutto, sviluppo sociale e locale, è economia civile e autosostenibile, è identità e valori, è modello e strumento di promozione di lavoro, beni e servizi.

La cooperativa di comunità si caratterizza per la consapevolezza dei soci di prendere un impegno per dare dignità ad un bene comune ritrovato: il proprio territorio

I nuovi abitanti, i nuovi produttori, i nuovi agricoltori, i nuovi operatori turistici, i nuovi operatori culturali devono imboccare la strada dell’autosostenibilità interpretando l’identità del luogo.

 Borghi, centri storici, piccoli centri. Da una parte la necessità di lavorare per una nuova economia  che metta al centro la persona, il territorio e i servizi creando nuove opportunità di lavoro. Dall’altra, il recupero di una cultura che presidi il territorio, secondo criteri ecologici capaci di far rivivere la bellezza del paesaggio. Ridare vita ai Borghi, molti di estasiante bellezza, è un’esigenza per i cittadini, per gli Enti locali, per le Regioni, per il Paese. Attrarre giovani ed investimenti, da unire ai fondi europei e all’accesso alle detrazioni fiscali statali per le ristrutturazioni, è la grande sfida di borgoslow. I borghi dovrebbero riprendersi il loro passato senza trasformarlo o stravolgerlo e con orgoglio donargli una nuova dignità facendo ripartire l’economia locale, dal turismo di comunità all’agropastorale rispettoso dell’ambiente, tenendo in debita considerazione il valore culturale delle produzioni di piccola scala.  Aver cura dei borghi significa tutelare e valorizzare il patrimonio storico-artistico a fini, culturali, artigianali e residenziali, legando passato e futuro, saperi moderni e saperi antichi, cultura e territorio, paesaggio rurale e bellezza, consumi ed ecologia, agricoltura sana e cibo agricolo, viaggio e turismo emozionale, nutrizione e salute. Il “modello dei borghi” dovrebbe assumere  le caratteristiche di un progetto di vivibilità, di comunità, non solo turismo emozionale e sociale, non solo localismo, bensì progettualità di un’area vasta, intercomunale, regionale, multisettoriale.

Proteggere questi luoghi, patrimonio d’inestimabile bellezza e tutelare questi territori è un’urgenza civile che serve a proteggere il futuro e dare vivibilità alle persone. Terreni che rappresentano vocazione e innovazione dal punto di vista della qualità del cibo, della tutela ambientale e della salute. Il territorio e le comunità delle aree interne possono riannodare quel filo che è stato reciso tra luoghi e non luoghi, tra cittadini e sudditi, tra globale e locale, tra logica del mercato e dignità umana, tra centro e periferia, tra identità e futuro, tra paesaggio e tutela del paesaggio, tra terreni e agricoltura sana, tra beni culturali e tutela dei beni culturali.Il Borgo è un “luogo del tempo” e dello “spirito” proviamo a recuperare il rapporto con il paesaggio, il mare, la terra e il cibo, buono che fa bene.I borghi sono l’antico straordinariamente moderno e devono riprendersi il loro passato senza trasformarlo o stravolgerlo e con orgoglio donargli una nuova dignità.

Obiettivi

– difendere il paesaggio, il suolo e il territorio, valorizzare memoria locale e agricoltura sana, sviluppare una comunità del cibo favorendo la fruizione di quei prodotti della terra che ne rappresentino la massima espressione qualitativa;;- promuovere e perseguire la pratica di una diversa qualità della vita nel rispetto dei tempi naturali, dell’ambiente e  della salute dei cittadini, -informare e sensibilizzare per una cultura della salute come bene comune, da difendere e proteggere anche con l’adozione di stili alimentari e di vita equilibrati, orientati alla qualità, alla diversità, alla moderazione;

– contribuire al rafforzamento dei legami dei prodotti alimentari di qualità con i loro territori, nell’ottica della salvaguardia della biodiversità;
– educare alla cultura alimentare i cittadini e, in particolare, le giovani generazioni, con l’obiettivo del raggiungimento della piena coscienza del diritto al buono e al sano  con  l’acquisizione di una responsabile consapevolezza in campo alimentare e nella lotta allo spreco;
– favorire e sostenere una qualità del cibo rispettosa di : bontà organolettica; sostenibilità ecologica dei processi produttivi, distributivi e di consumo; di giustizia sociale e dignità di tutte le persone coinvolte nella filiera alimentare.- costituire un comitato scientifico consultivo formato da esperti dell’enogastronomia e del mondo dell’agricoltura, della cultura e dell’arte, con il compito di fornire pareri e suggerimenti sulle iniziative territoriali e regionali;

 È all’interno di questo cambiamento che va letta l’esperienza delle cosiddette cooperative di comunità definendo con questo nome quelle imprese cooperative associate al territorio che attraverso le buone pratiche vogliono fornire beni di comunità. Le cooperative di comunità favoriscono il protagonismo e la partecipazione dei cittadini nella produzione e gestione di beni e servizi avendo come obiettivo il miglioramento della capacità di vita di una comunità nella quale sono radicate.

Borgoslow per il cibo dei borghi

 Urbanizzazione, un’agricoltura intensiva, allevamenti intensivi, cambiamenti climatici a rischio:  acqua, terra e la salute

Urbanizzazione

Più del 50% della popolazione mondiale circa 4miliardi di persone  vive oggi in aree urbane e tale percentuale è destinata a crescere.

E con l’aumento della popolazione urbana aumenta anche la richiesta di acqua per soddisfare i bisogni dei cittadini. I cambiamenti climatici, inoltre, sono destinati a rendere ancora più drammatica la situazione, tanto che le stime parlano di 4 miliardi di persone che a causa dei tali modifiche del clima e dell’aumento della richiesta di acqua per le attività umane vivranno con problemi di carenza idrica entro il 2050.

Una nuova agricoltura

Tra le attività umane che più pesano sul consumo di acqua, l’agricoltura e gli allevamenti intensivi occupano senza dubbio un posto di primo piano essendo responsabile del 70% circa di tutti i prelievi di acqua a livello globale .

L’ abbandono delle aree rurali

Lo spopolamento dei piccoli centri e dei borghi è una delle cause dei sistemi agro-alimentari globali non sostenibili per l’ambiente e per la salute , i Paesi del Mediterraneo si stanno allontanando da un modello alimentare considerato sano e sostenibile per l’ambiente. Inoltre, le pressioni ambientali e i problemi geopolitici mettono a rischio la sostenibilità e la sicurezza alimentare.

  “Mangiare è un atto agricolo, la gente è alimentata dall’industria alimentare che non si interessa della salute ed è curata dall’industria farmaceutica che non si interessa dell’alimentazione”

Il cibo del mercato

Nel contesto odierno tra il disagio socioeconomico e il mercato non è semplice praticare uno stile alimentare che protegga la salute. Il nostro rapporto con il cibo è cambiato, a differenza del passato la paura dell’eccesso ha sostituito la paura della fame. Siamo vittime della religione del corpo. L’attenzione compulsiva al girovita bilancia il culto dell’abbondanza alimentare. Questo ha scatenato dei veri e propri “integralismi alimentari” con fedeli disciplinati al seguito dei vari guru della magrezza e con una inversione di significato e di contenuti a cui è andata soggetta la “dieta”. In greco stava a designare uno stile di vita, un modo d’essere, il regime quotidiano di alimentazione (ma, più in generale, di vita) che ogni individuo doveva costruire sulle proprie personali esigenze e caratteristiche, adattandole ad un paniere variegato di cibo locale. Oggi, dieta è costrizione, designa la limitazione, la privazione di cibo. Per molti la dieta diventa girovita, riduzione di calorie, peso e misure, con il rischio di disordini alimentari: eccessivo uso di proteine, depressioni, frustrazioni, con una disciplina ferrea fatta di cibo proteico che definiscono leggero di molta palestra, fitness, anfetamine, vivono da malati per morire sani. Poi abbiamo i consumatori di cibo chic che seguono i dettami dei tanti masterchef di turno che dilagano in televisione. Loro devono stupirti con la rivisitazione del piatto con la fusion modaiola con la cucina d’avanspettacolo e il cibo si svuota dalla sostanza per diventare forma. Il piatto è presentazione e gusto slegato dalla terra. Poi vi sono quelli che ingurgitano tutto, mangiano così tanto fino al punto che non possono più mangiare nulla. L’attenzione al mangiar bene e al mangiar meno non deve essere liquidata come la mania di chi vuole perdere qualche chilo prima dell’estate. Stiamo parlando di salute e di una scelta vitale per la sopravvivenza di intere fasce di popolazione. La globalizzazione ha sostituito però la cucina tradizionale povera (povera per le tasche ma ricca per la salute) con una omologazione del gusto facendoci perdere sapori, memoria, tradizioni e sostenibilità. Il cibo sta perdendo il suo valore simbolico di socializzazione, di festa, di incontro di amicizia per ridursi a merce o avanspettacolo televisivo. Ci troviamo di fronte a delle proposte commerciali che ci attraggono sul piano dei sapori ma discutibili sul piano salutistico. Troppa carne, troppi grassi, troppi cereali raffinati, troppi latticini, troppo poca frutta, troppo poca verdura, troppo poco pesce, pochi legumi – che contrastano con i dettati di una vera e sana dieta mediterranea. Questo modo di mangiare globalizzato sempre più “ricco” di calorie, di zuccheri, di grassi saturi e di proteine animali, ma in realtà “povero” di alimenti naturalmente completi ha significato: obesità, diabete, malattie cardiovascolari, tumori, morbo di Alzheimer. Oggi il cibo sulle nostre tavole può voler dire salute, oppure no. L’industria agroalimentare è una fabbrica di cibo che con una catena di montaggio controlla tutto dal seme al supermercato. Il cibo, vettore di molti diritti, tra cui il diritto alla salute, è diventato soltanto merce. La produzione di cibo è passata da un cibo agricolo sano e naturale ad uno tecnico-industriale con l’immissione della chimica nel comparto alimentare. In Italia vi sono oggi quattro milioni di adulti obesi, erano tre milioni negli anni novanta e quelli in sovrappeso sono oltre 15 milioni. Tra i bambini abbiamo uno su tre in sovrappeso e uno su otto francamente obeso con punte di uno su cinque in Campania e Molise e uno su sei in Calabria. Siamo il terzo Paese per ipernutrizione e al secondo posto per sovrappeso e obesità nella fascia di età tra i 2 e i 18 anni. Vi è uno stretto legame tra la qualità degli alimenti e la protezione della salute. Per essere consapevoli bisognerebbe cominciare ad interrogarsi sul ciclo alimentare dei prodotti e sulla provenienza degli alimenti. Le abitudini alimentari delle nuove generazioni e il contrasto ai tumori, alle malattie cardiocircolatorie, al diabete e alla dilagante obesità infantile passano anche attraverso l’informazione e l’educazione che noi sapremo dare.

Bisognerebbe riflettere ed essere consapevoli su come nutrirci, con quale conseguenze sulla salute, sui consumi energetici, sull’ambiente e sulla biodiversità. L’educazione del cittadino ad una alimentazione buona, pulita e giusta è anche educazione al rispetto dell’ambiente, delle risorse della terra e della vita intera. L’educazione alimentare e con essa il consumo consapevole sono alla base della prevenzione delle malattie del cosiddetto “benessere”.

Dall’alimentazione e dal nostro stile di vita dipende quanto possiamo aspettarci di vivere e come. In particolare, studi scientifici di tutto il mondo disegnano un quadro in cui il tipo di alimenti che assumiamo influenza non solo il nostro peso ma anche il nostro benessere. Il cibo è un diritto e ha un valore, non esiste soltanto l’economia esiste anche la tutela della salute, esiste anche l’etica pubblica, esiste la tutela del territorio, l’agricoltura sana e quindi dovrebbe esistere anche la consapevolezza.

Vogliamo confrontarci sul cibo dell’uomo, sulla terra, sul territorio e su cosa significa oggi mangiare in modo consapevole. Confrontarsi significa chiedersi da dove viene il cibo, quale storia c’è dietro un prodotto e un piatto, dare parola agli artigiani del cibo e del vino, conoscere la storia, l’intelligenza, la passione e la fatica che stanno dietro ai sapori buoni, sani e sostenibili.

L’impegno di Borgo Slow sul cibo è volto a ricreare una comunità del cibo attraverso una coralità produttiva dei luoghi che affondi le sue radici nel territorio per una coscienza collettiva che abbia come fine il ritorno < al cibo della terra > il ritorno al < cibo dei borghi > il ritorno al cibo da < agricoltura sana>.

Il cibo dei borghi

“Quando ti viene nostalgia non è mancanza. E’ presenza di persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti”  Erri De Luca

La vera nostalgia è quella che ci accompagna nella critica del presente, ed è già futuro.

La nostalgia ha preso anche me, quella che scende nel profondo delle emozioni, di persone e luoghi. Una nostalgia che non è mancanza è presenza come ci ricorda Erri De Luca e mi accompagna, vissuta nella dolcezza di mia madre, nell’ aiutarla a sbrogliare le matasse, nel suo lavorare l’uncinetto, nelle carezze di mia nonna, con le mani esperte nel fare la pasta, nel riconoscere il cibo, le erbe nei campi, la nostalgia delle sue merende fatte di pane nero e olio spremuto da mio padre, ma è una nostalgia che mi accompagna nella critica del presente, una nostalgia un po’ pasoliniana. E’ impossibile il racconto della Calabria più autentica e vera senza il racconto del piatto delle donne ed è difficile raccontare il piatto senza il racconto del territorio in cui il piatto è nato ed è immerso.

Una certa nostalgia di ritornare, di abitare i luoghi, ci accomuna tutti. Viviamo una fase di estrema crisi della città, donne e uomini sembrano aver perduto ogni rapporto con il luogo in cui vivono anzi sopravvivono prigionieri della crisi, del traffico e dalla mancanza di socializzazione e vivibilità. La città è diventata una città grande e quel che resta si è trasformato in un cosiddetto ‘centro storico’ con pochi residenti, che serve solo al consumo turistico e al divertimento del fine settimana. Gli edifici sono spesso alveari inospitali, senza servizi e luoghi di incontro e favoriscono solo la dispersione, i disagi e l’assenza di socialità e di convivialità. La città ed in particolare la città metropolitana ha spopolato e sconfitto i borghi ed i piccoli centri rendendoli senza servizi, desolati, degradati ed abbandonati. I grandi centri non tengono conto dei bisogni collettivi centralizzano e affidano la nostra vita al mercato globale, con conseguenze sociali ed economiche irricevibili e spesso irreversibili per le comunità.  A livello temporale la centralizzazione dell’abitare nega gli spazi di libertà individuali, non soddisfa i bisogni collettivi, determina disuguaglianza e medicalizza la nostra vita. L’architettura moderna è distorta non è mai pensata in funzione del territorio, dei bisogni collettivi di chi abita o abiterà il luogo. La voracità costruttiva, la fame di crescita e l’amnesia della bellezza architettonica dei borghi ha violentato le coste facendo perdere l’identità dei luoghi. A questo si è aggiunta la fuga di migliaia di persone da abitazioni considerate povere, poco salubri, umide e per niente moderne. Le leggi spesso in contrasto tra loro hanno impedito la tutela del paesaggio. Da noi, e non solo, il cemento ha scardinato le coste e abbandonato terreni e campagne. Terreni che dovrebbero rappresentare vocazione e innovazione dal punto di vista della qualità del cibo, della tutela ambientale e della salute.  La falsa modernità, la “crescita”, un insensato modello di sviluppo, le impresine delle costruzioni nel ciclo delle seconde case e il turismo balneare stagionalizzato hanno determinato lo spopolamento di molti borghi con il conseguente dissesto idrogeologico, l’abbandono del territorio, dell’agricoltura, della pastorizia e del cibo agricolo.

Oggi che il cibo industriale è diventato forma svuotato dalla sostanza, oggi che gli chef stellati, rigorosamente maschi, si sono presi il palcoscenico del teatro del cibo, in un Sud ad obesità epidemica, bisogna ripartire dal cibo popolare, dal cibo delle donne, dal cibo delle tradizioni per coniugare territorio a sapori, sapori e alimentazione sana. Il territorio e le comunità delle aree interne possono riannodare quel filo che è stato reciso tra luoghi e non luoghi, tra cittadini e consumatori, tra globale e locale, tra logica del mercato e dignità umana, tra centro e periferia, tra identità e futuro, tra paesaggio e tutela del paesaggio, tra terreni e agricoltura sana, tra alimentazione e salute. Il cibo e il vino richiedono il rispetto e la tutela della salute e della terra, il rispetto del lavoro di contadini e “artigiani”, la sostenibilità ambientale e sociale, l’accesso alle risorse comuni naturali (acqua e terra) e la nascita di un vera alleanza tra chi produce e chi mangia per creare una comunità del cibo che orienti verso una alimentazione consapevole.

I borghi sono un laboratorio urbano e sociale avanzato da osservare, tutelare e valorizzare. Cominciano a materializzarsi interventi di restauro capaci di ripensare le materie tradizionali del luogo, la calce, la pietra, il legno. Sullo sfondo ci sono persone in “movimento” che mancano al borgo da molti anni e sono sulla via del ritorno e ci sono giovani che guardando da fuori e da dentro intravedono il futuro. Da queste terre confinate ai margini potrà ripartire l’economia locale, la vita e la vivibilità.  La battaglia per il ripopolamento dei borghi ha valenza culturale perché rappresenta una sfida al modello della città metropolitana dominante, al falso modernismo e all’economia globale. Riabitare i luoghi significa far rinascere i borghi.

Proteggere questi luoghi, patrimonio d’inestimabile bellezza e tutelare questi territori è un’urgenza civile che serve a proteggere il futuro e dare vivibilità alle persone. Andrebbero ricostruiti i muretti a secco, recuperati gli olivi e i vigneti abbandonati, restituita la vocazione agricola. I borghi, con i loro beni culturali e il loro patrimonio storico-architettonico, non possono essere marginali sono centrali per superare immobilismo e rassegnazione e per restituire i terreni all’agricoltura e ai corsi d’acqua. Terreni che rappresentano vocazione e innovazione dal punto di vista della qualità del cibo, della tutela ambientale e della salute. Il territorio e le comunità delle aree interne possono riannodare quel filo che è stato reciso tra luoghi e non luoghi, tra cittadini e sudditi, tra globale e locale, tra logica del mercato e dignità umana, tra centro e periferia, tra identità e futuro, tra paesaggio e tutela del paesaggio, tra terreni e agricoltura sana, tra beni culturali e tutela dei beni culturali. Ma bisogna non < turistizzare>, questo è il rischio, il rischio che questi luoghi diventino un museo per turisti. Le strutture ricettive che promuovono il turismo, il turismo slow, devono essere in sintonia con il territorio e con chi ci vive; dove le case, il cibo e il vino possono diventare punto di forza ma anche di resistenza, dove si possa fare trekking senza depredare la comunità, dove ci possa essere un incontro sapiente tra ospiti e ospitati.

Con gli osservatori il “modello borgoslow ” vuole approfondire e raccontare il territorio e le sue eccellenze, di chi ha restituito i terreni all’agricoltura e ai corsi d’acqua, di chi riparte dalle buone pratiche, di chi vuol far ripartire il cambiamento e sulle tracce delle migliori tavole regionali assumere le caratteristiche di un progetto di vivibilità, di economia locale e solidale che si autosostiene e da cui far ripartire il cambiamento per le attuali sfide legate al cibo globale. E’ il modello dei piccoli centri ma anche delle aree interne, di un’area vasta ma periferica, intercomunale, regionale, multisettoriale, definiamolo < il Mediterraneo rurale: del grano, dell’olio e del vino>.